L’arroganza e il maschilismo

Pagina 1 di 1

Raccontare questa testimonianza ancora mi turba in quanto smuove dentro di me il ricordo di un sopruso subito, in un momento molto drammatico della mia vita, in cui ero particolarmente fragile, indifesa. In quel tempo mi trovavo in un ospedale della città insieme a mia figlia alla quale avevano diagnosticato una gravissima malattia, dalla quale secondo i medici aveva ben poche speranze di potersi salvare. Mentre mia figlia era sotto operazione, decisi di recarmi nella cappella dell’ospedale per cercare un po’ di conforto pregando Dio. Soffrivo di un dolore atroce che soffocava tutto il mio essere. Quel giorno ricordo che indossavo un pantalone largo e sopra una canotta dalla scollatura alta sia davanti che dietro e che lasciava giusto le braccia scoperte. Eravamo in piena estate e faceva caldissimo. Come arrivai nei pressi della cappella, incontrai lo sguardo del sacerdote che stava conversando con alcune persone, nel vedermi rimase col fiato a mezz’aria tra il disgustato, il sorpreso, e il turbato, come se avesse visto qualcosa che non doveva essere lì. Sul momento non mi curai affatto delle mie impressioni, avevo altro a cui pensare, e andai a sedermi sulla panchina iniziando a pregare, così come mi avevano insegnato… e a piangere sommessamente, supplicando Dio di aiutarmi ad affrontare quel tremendo momento e sperando nella salvezza della mia piccina. Ad un tratto sentii battermi una mano sulla spalla, era il sacerdote che rivolgendosi verso di me mi disse con fare severo e giudicante: “Lei non può stare qui così vestita, deve uscire”. “Cosa sta dicendo?” gli risposi, con la voce stozzata, tra lo sgomento e nell’incredulità di ricevere una simile osservazione così insensata, ingiustificata, delirante e maschilista… “mia figlia è dentro la sala operatoria, non so nemmeno se ne uscirà viva, e lei mi viene a dire che non posso stare qui perché ho le braccia scoperte’’. Lui mi rispose, ostentando una palese falsa calma: “Va bene, ma solo per questa volta”. Questo è tutto quello che seppe dirmi. Dopo aver ascoltato le mie parole, avrebbe dovuto sentirsi mortificato, chiedermi scusa cercando di confortarmi, rendersi in qualche modo disponibile ad alleviare le mie pene, sermoneggiare come quando si trova dall’alto del pulpito durante le sue prediche per ammaestrare le sue pecorelle… Ed invece quell’essere disgustoso, ignobile si preoccupava delle mie braccia scoperte e non vedeva l’ora che me ne andassi affinché smettessi di turbare la sua mente contorta e leziosa e arrogante. Un essere che si mostrava privo di sentimenti e empatia, vuoto proprio come un sepolcro imbiancato. Avrei voluto urlare, gridargli il mio disprezzo, mostrargli tutta la mia indignazione, e sì avrei voluto riempirlo di schiaffi, ma non ne ebbi il coraggio, la forza, poiché quella che mi rimaneva la tenevo tutta stretta tra i miei pugni serrati per restare viva. Credevo in quel momento che la mia sola ed unica priorità fosse pensare a mia figlia, che non dovevo sprecare le mie energie che mi sarebbero poi servite sempre per lei. Inconsciamente temevo che se mi fossi ribellata, qualcuno o qualcosa mi avrebbe in un qualche modo punita, e che la mia ribellione avrebbe portato mia figlia verso una cattiva sorte. Fu micidiale questo pensiero, ovviamente indotto, perché ti spacca letteralmente le gambe e ti ritrovi piegata, in ginocchio, senza più respiro, svuotata. E in ragione di ciò, per far andar bene le cose dovevo stare zitta. Ma da dove provengono questi assurdi pensieri se non da chi ha interesse a privarti delle tue risorse interiori e capacità di autodeterminazione!? D’altronde non è questo che insegna la religione? La non ribellione, mascherata dalla falsa bontà. Quanto mi sono sentita in colpa per non aver agito. Mi sono sentita in colpa per non aver reagito a quel male, che mi veniva imposto e che si sarebbe poi radicato nel mio profondo assieme ad altre emozioni represse, per poi uscire ogni qual volta fosse necessario bloccare il mio istinto di ribellione, ossia il difendermi e l’agire. Avrei dovuto difendermi, avere dignità nel rispettare me stessa, e per quel senso di giustizia che dobbiamo imparare ad onorare ogni qual volta ci venga richiesto e mai fuggire da questo compito. E prima di ogni cosa dobbiamo imparare ad ascoltare la nostra anima, la nostra coscienza, e seguirla ovunque voglia andare, zittendo tutte quelle voci nella nostra testa, e quei pesanti sentimenti che ci spingono dentro il cuore che vorrebbero condurci altrove, farci sprofondare nella tristezza, nella negatività, nel pessimismo, nell’immobilità, perché non sono nostri, e non dobbiamo crederci. Non permettiamo all’oscurità di avere potere su di noi, sull’umanità. Ma permettiamo a Dio di espandersi e agire in questa dimensione attraverso di noi, per far sì che molte più persone si rendano coscienti di Lui e allontanino l’oscurità da essi. Dopo aver ricevuto la notizia dai medici che in pratica la loro diagnosi iniziale era sbagliata, che mia figlia non era in pericolo di vita, decisi di ritornare nella cappella in cerca di quel prete per tentare di rimettere a posto le cose, vi ritornai più volte, ma non lo vidi più.

 

Antonella

 

Questo documento è di proprietà di https://significato.online/. Tutti i diritti sono riservati, è vietata qualsiasi utilizzazione non autorizzata, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta da parte di Significato.Online. Ogni violazione verrà perseguita per vie legali. ©
7+

Aggiungi un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commento *

Nome
Email
Sito Web

Vuoi aggiungere il tuo banner personalizzato? Scrivici a [email protected]