La Religione ti viene imposta

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Fin da quando ero piccola ho avvertito un sentimento doppio nei confronti di ciò che era la “religione”. Da un lato era bello per me parlare tutte le sere con Dio o Gesù, credevo davvero che esistessero questo vecchio signore con la barba bianca e un altro signore che assomigliava a mio papà. Tuttavia l’ambiente della chiesa, gli abiti indossati e l’atmosfera che si respirava mi risultava pesante e stridente con quanto predicato.

Personalmente ho fatto poco catechismo, giusto per fare la prima comunione, e non mi piaceva.

Il prete della parrocchia del luogo in cui vivevo era poi una persona ambigua ed è accaduto che abbia picchiato qualche bambino. A proposito ricordo una volta in cui mio fratello e un suo amico, colpevoli di aver fatto uno scherzo, sono stati seguiti fin dentro al bagno. Mio fratello è riuscito a nascondersi, ma il suo amico è stato letteralmente acchiappato e si è preso un bel pugno sulla testa.

Ecco, questo per me era inconcepibile già al tempo!

Proprio in quegli anni non ce la passavamo molto bene economicamente ed è accaduto che mia mamma sia andata a chiedere un sostegno alla chiesa. Ero piccola, ma ricordo molto bene il senso di umiliazione di mia mamma e che parlando con mio papà diceva che il prete le aveva fatto comunque pesare il fatto di non frequentare la chiesa, quasi come a dirle: “Eh, io soldi ve li do’, anche se non li meritate poi tanto”. Ed io ero bimba, è vero, ma nella mia testa quella che doveva essere la casa di Gesù, non avrebbe dovuto fare distinzione, noi avevamo bisogno come chi era praticante.

Alle superiori mi sono invece scontrata con l’ottusità di chi ci insegnava religione, un prete, con cui ho anche cercato di avere uno scambio, ma la sua reazione è stata respingente. Adesso capisco che era decisamente indottrinato e per nulla incline al confronto.

Vorrei spendere delle parole anche per chi, in nome della religione, è convinto di essere dalla parte del giusto e di poter giudicare chi invece sente diversamente.

Un paio di episodi, quelli che mi sono rimasti più impressi, sono legati ai “mancati sacramenti”.

Io ho abbandonato molto presto la chiesa, la frequentazione non l’ho neppure iniziata, e il distacco dalle preghiere della sera è arrivato in età adulta, quando sentivo che non stavo parlando con nessuno.

Quando è nato mio figlio non ho, perciò, neppure pensato al battesimo. Il papà del mio compagno, sapendo di non poter parlare con lui direttamente se non voleva litigarci e sentirsi mandare a quel paese, ha pensato bene di fare pressione su di me. È stata un’insistenza breve, eppure forte, tanto da disturbarmi e farmi percepire come violento quel tentativo di imporre la sua volontà, nonostante sapesse benissimo che né io né suo figlio siamo “credenti”.

Un altro episodio è stato il matrimonio di mio fratello. Lui non è credente, eppure per sposarsi ha dovuto fare il corso per cresimarsi, perché sua moglie è invece credente e la sua famiglia fortemente praticante. Io ho patito questa cosa, nuovamente ho avvertito la violenza di imporre qualcosa. Perché è moralmente accettabile che si debba rispettare la religione di qualcuno, ma non lo è altrettanto rispettare la volontà di chi invece non crede?

In occasione della cresima di mio fratello, c’era mio figlio con me e la mamma di mia cognata ha detto qualcosa a mio figlio del tipo “Vedi zio che fa la cresima. Prima o poi anche tu verrai battezzato”. Io ho lasciato correre, però è impossibile non notare questa presunzione di trovarsi dalla parte giusta, non rispettando per nulla il pensiero degli altri.

La violenza è una costante, salvo naturalmente alcune persone che credono davvero nella loro missione.

 

Tammy

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