Un viaggio nella Scuola italiana attraverso gli anni

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Ciao a tutti! Sono andata a curiosare trai miei parenti e colleghi riguardo la realtà della Scuola italiana nei loro anni. È stato molto bello e interessante scoprire questo spaccato di vita così differente rispetto a quello a cui sono abituata io. Alcuni aneddoti mi hanno fatto ridere, altri quasi piangere, ma sia per loro che per me è stata una piacevolissima conversazione. Vedevo nei loro occhi la gioia di rievocare quegli anni, duri sotto tanti punti di vista, ma raccontati da loro anche con estrema nostalgia, soprattutto in considerazione della grande spensieratezza e libertà mentale che vivevano all’epoca e che non rivedono adesso nei loro nipoti. Vi riporto di seguito le testimonianze raccolte e suddivise per anni.

Scuola anni ‘50

Il parente che mi ha descritto la Scuola da lui frequentata negli anni ’50, dinanzi alle mie domande curiose, è andato direttamente a prendere un vecchissimo album delle foto. Mentre me lo mostrava era molto emozionato e, oltre alle foto di famiglia, ci siamo soffermati sulle due uniche foto di classe presenti. Erano foto in bianco e nero, in cui erano raffigurati circa una ventina di bambini tutti piccolissimi, di massimo 3-4 anni, e al centro una suora.

Mi ha raccontato che quelle foto risalivano ai primi anni di asilo. All’epoca, mi ha detto, gli asili erano gestiti esclusivamente dalle suore, perché non esisteva ancora la Scuola dell’infanzia statale. Riportando alla memoria quei giorni mi ha raccontato che ha ricordi di Suore molto rigide e severe e questo lo confermava anche la foto stessa. Infatti, già da una prima occhiata, avevo notato il volto duro e dall’espressione arcigna con cui posava la Suora al centro della foto.

Allo stesso modo, anche i bambini non erano raffigurati in maniera più felice e guardando le espressioni di ciascuno di loro notavo in ognuno un broncio, un’espressione sofferente oppure infastidita. Ho fatto questa osservazione a voce alta e la persona con cui stavo parlando, molto religiosa e giornalmente frequentante della chiesa, mi ha risposto che alcuni di loro erano parecchio birichini ed era normale e più che giusto che le Suore fossero severe e riportassero l’ordine.

E come lo facevano? Mettendo in castigo il bambino che si era macchiato di qualche “grave colpa” e lasciandolo da solo, anche per mezz’ora, in una stanza completamente buia e chiusa, dalla quale poteva uscire solo quando la Suora tornava ad aprire la porta.

Un’altra cosa che mi ha raccontato è stata la diversità di comportamento attuata nei confronti dei bambini in base alla loro condizione economica e sociale. I bambini ricchi venivano trattati con maggiore accortezza, lasciati più liberi di fare quello che volevano e senza ricevere ovviamente castighi e sgridate. Questo differente atteggiamento, poi, si notava anche nel momento del pasto, perché i privilegiati ricevevano porzioni più abbondanti rispetto ai bambini poveri.

Per quanto riguarda la scuola elementare, mi ha raccontato invece che le classi non erano miste come oggi, ma erano suddivise tra maschi e femmine. Sia i maschi che le femmine indossavano un grembiule nero con il fiocco azzurro e riponevano i libri in cartelle fatte di cartone, molto malandate e usurate che spesso non arrivavano neanche alla fine dell’anno.

In classe era presente un unico maestro che insegnava tutte le materie e che seguiva la classe per tutti e cinque gli anni. La scuola si raggiungeva rigorosamente a piedi e chi veniva dalla campagna doveva camminare tantissimo anche per un’ora prima di raggiungere la scuola. Mi ha raccontato che l’abbigliamento spesso e volentieri non era adatto a queste lunghe camminate, perché si trovavano quasi tutti in condizioni di estrema povertà e i vestiti, così come le scarpe, erano tutti bucati, rattoppati o comunque di una misura/numero diversi rispetto a quella del bambino.

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Mi ha raccontato anche che ogni anno veniva stilata e affissa alle porte comunali la lista dei poveri. Un elenco contenente i nomi dei bambini appartenenti alle famiglie più povere e ai quali veniva comprato un pantalone, una giacca o un paio di scarpe a seconda della necessità più urgente.

Scuola anni ‘60

Alcuni miei colleghi mi hanno raccontato come hanno vissuto i loro anni scolastici negli anni ‘60, rivelandomi aneddoti ed episodi che ancora oggi ricordano.

Anche loro, come nella testimonianza precedente, mi hanno riferito che le classi erano suddivise tra maschi e femmine. Solo in un caso, una collega che aveva frequentato la scuola di campagna, mi ha raccontato che frequentava una classe mista non solo per genere, ma anche per età. Infatti, fino alla terza elementare i bambini che frequentavano quella scuola erano tutti in classe insieme.

Mi hanno raccontato anche che, contrariamente a quanto avviene oggi, i maestri erano molto severi e anche violenti. Ad inizio anno il maestro era solito chiedere chi fosse figlio del falegname e a questo bambino veniva affidato il compito di portare in classe una bacchetta di legno, ad uso esclusivo del maestro, che lo utilizzava per rimettere in riga tutti gli alunni.

Tutti loro si ricordavano ancora le bacchettate ricevute, ma erano concordi nell’affermare che non era quella la fase peggiore. Bensì il momento dell’arrivo a casa, perché era proprio quando il padre di famiglia si rendeva conto che il figlio era stato picchiato che arrivava la punizione vera e propria: quella delle botte e del castigo da parte dei genitori!

In particolare, un collega mi ha raccontato un aneddoto riguardante un suo amico delle elementari. Mi ha riferito che una volta i genitori scoprendo che a scuola il figlio era stato bacchettato molto (con segni ben visibili sulle mani e sui polsi), hanno deciso di punirlo in un modo ancora peggiore: lo hanno legato alla sedia con la corda e lo hanno slegato e lasciato libero di muoversi solo al loro rientro a casa, nel pomeriggio inoltrato.

Un altro metodo di castigo scolastico utilizzato all’epoca era la stanza del granturco. In pratica c’era uno spazio cosparso di granturco e l’alunno malcapitato veniva mandato in questa area e doveva restare in ginocchio su quei semi di cui il pavimento era ricoperto fino a quando non veniva chiamato per rialzarsi e tornare in classe. In quel lasso di tempo, che poteva durare dai 10 minuti alla mezz’ora, l’alunno non era lasciato da solo, ma era sottoposto al controllo del bidello di turno che non lo faceva alzare per nessuna ragione.

Un altro aneddoto che mi hanno riportato riguarda una gita scolastica a cui hanno partecipato in quinta elementare. All’epoca le gite erano di un solo giorno e in quella specifica che mi hanno raccontato si sarebbe svolta a Roma. Tutti loro avrebbero dovuto prendere un autobus chiamato appositamente per l’occasione ed erano emozionati sia per la gita in sé, che per il mezzo di trasporto utilizzato. Infatti, quasi nessun genitore possedeva auto o altri mezzi di trasporto, pertanto questa rappresentava una bella ed emozionante novità. Tuttavia, il viaggio non è andato come sperato e proprio perché non erano abituati, molti di loro si sono sentiti male e il mio collega mi ha detto che, tra risate e lamenti, hanno passato buona parte del viaggio a vomitare per il mal d’auto.

Scuola anni ‘90 e Scuola 4.0

La scuola degli anni ‘90 è la scuola che ho frequentato io, ben lontana dai modelli appena descritti ma senza dubbio molto diversa anche da quella attuale. Ho avuto la fortuna di frequentare la scuola materna statale, anziché andare dalle suore, e non ho particolari ricordi di maestre severe o inumane. Ai miei tempi i castighi non esistevano già più ed eravamo lasciati liberi di disegnare, giocare ed esprimerci con molta libertà.

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Un’ altra differenza che ho potuto notare rispetto ai racconti precedenti è relativa al modo di spostarsi, infatti tutti noi, o quasi, eravamo accompagnati in macchina dai nostri genitori, sebbene la scuola fosse anche centrale e vicina. Andavamo tutti con il nostro grembiulino blu pulito e perfettamente su misura e ogni giorno mostravamo i nuovi giochi che ci eravamo portati da casa. I tempi erano molto diversi rispetto agli anni ‘50, si respirava prosperità e c’era sicuramente molta più felicità nell’aria.

Nonostante non ci fossero più le bacchette di legno e le punizioni sul granturco, comunque la severità di alcuni Maestri mi toccava, anche se in maniera non fisica. Ricordo per esempio che a 9 anni ho dovuto trascorre più di un mese in un Ospedale a causa dei forti dolori e della febbre alta che i calcoli renali mi stavano portando.

Superato con fatica quel periodo e uscita dall’ospedale non vedevo l’ora di tornare a scuola insieme a tutti i miei compagni. I medici si erano raccomandati, però, di bere il più possibile, oltre due litri di acqua al giorno per evitare altri problemi con i calcoli. Per cui mia mamma ogni mattina mi preparava delle bottigliette d’acqua che avrei dovuto bere a scuola e se fossi tornata a scuola con l’acqua ancora nello zaino si sarebbe arrabbiata molto!

Tutti e tre i maestri erano stati informati di questo mio problema e della necessità di bere, ma c’era l’insegnante di matematica che ogni volta che mi vedeva bere iniziava a sbraitare, togliendomi l’acqua di forza dalle mani e facendomi piangere. Quando c’era lei non riuscivo mai a finire l’acqua e appena tornavo a casa andavo a svuotare le bottiglie in una pianta che avevo a casa, così da non essere sgridata da mia madre.

Questa storia è andata avanti per tutto l’anno fino a quando, per fortuna, è stata trasferita. Ci ripenso comunque ancora con molta rabbia e questo episodio, legati ad altri accaduti in passato e altri anche più recenti di altre persone, mi fa rendere conto che un ruolo così importante e delicato come quello dell’Insegnate viene spesso e volentieri affidato a persone frustrate, bigotte e completamente incapaci di svolgere degnamente il compito per il quale sono pagati.

Anche rispetto alla scuola attuale noto molta poca premura ed empatia dei maestri nei confronti dei bambini, a cui spesso viene urlato contro o risposto in malo modo anche se molto piccoli e incapaci di comprendere ciò che sta accadendo: ossia che la rabbia repressa di maestre incapaci si riversa su di loro!

Lavorando a scuola ho modo di assistere a molti episodi del genere e a comportamenti intolleranti e inadeguati e posso assicurare che sono davvero rari i casi di insegnanti preparati, educati e amanti del proprio lavoro. Molti di loro spesso sono troppo anziani e ormai stanchi di compiere quel ruolo che svolgono chissà da quanti anni; altri invece, seppur giovani e freschi di laurea, è palese che siano lì solo per prendere lo stipendio, completamente incuranti delle necessità dei bambini che si trovano davanti.

Per esempio una cosa che ho notato è la totale incapacità di lavorare di molti insegnanti di sostegno che non riescono ad utilizzare la loro creatività e pazienza per far sì che i bambini disabili che gli vengono affidati apprendano in maniera stimolante e divertente. Molti di loro non si impegnano minimamente nel cercare le soluzioni più idonee, ma si affidando direttamente alla tecnologia trovando molto più comodo (per loro) prendere un tablet e lasciare il bambino ad “imparare” davanti ad uno schermo.

Assisto a questi episodi purtroppo molto di frequente, sia perché sono tantissime le persone non motivate che anziché impegnarsi si affidano a soluzioni facili, sia perché, a fronte di un numero sempre crescente di bambini con disabilità, gli insegnanti di sostegno sono ormai tantissimi e spesso senza un’adeguata preparazione.

La grande presenza di bambini con disabilità è sicuramente un enorme differenza che ho riscontrato rispetto a quando frequentavo io la scuola, ma anche rispetto ai racconti che mi sono stati illustrati in merito agli anni 50 e 60.

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Nel mio caso, per esempio, ricordo alle scuole medie di un unico bambino sulla sedia a rotelle. Mentre non ne ho ricordi alle elementari, per cui sono certa che il numero fosse nettamente inferiore a quello di oggi, dove in ogni classe ci sono come minimo tre alunni disabili.

Un’altra grande differenza rispetto alle Scuole del passato è la presenza ormai dirompente del digitale. Attualmente è in corso un nuovo progetto denominato “Piano Scuola 4.0” che mira entro giugno 2024 a rendere completamente innovativi e digitali gli ambienti di ciascuna istituzione scolastica italiana. Questo piano di investimento non lascia indietro nessuna scuola e sono coinvolte anche le scuole più piccole, quelle di montagna o ubicate in piccoli centri.

Nello specifico, lo scopo primario di questo piano di chiara matrice europea è quello di completare la modernizzazione degli ambienti scolastici italiani per accompagnare la transizione digitale della scuola italiana, trasformando le classiche aule scolastiche che tutti noi conosciamo, in ambienti che si basano su spazi virtuali di apprendimento. Il fine ultimo è quello di ideare nuove metodologie di apprendimento e di insegnamento, che si basano sul metaverso, sull’eduverso e sull’intelligenza artificiale.

Questo progetto è ancora nella sua fase iniziale, ma già ci stiamo avvicinando sempre di più a quello che Angel Jeanne ha egregiamente descritto nei suoi Volumi “Apatìa”. Sarà mia cura testimoniarvi, passo dopo passo e man mano che si andrà avanti nelle attività, l’impatto che la Scuola 4.0 avrà su tutta la comunità scolastica ed in particolar modo sulla nuova generazione di studenti.

 

Isa

 

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