Quando io ero ragazza… il racconto di mia madre (circa cinquanta anni fa)

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Quando io ero ragazza in Estate ci preparavamo per realizzare le conserve dei pomodori. Mia madre tornava la sera da lavoro e tutti noi della famiglia cioè io, il nonno, la nonna e le tue zie ci preparavamo per la conserva dei pomodori. Il nonno prendeva una sorta di grande setaccio in legno, perché all’epoca non esisteva il macchinario per farlo, e ci metteva sopra i pomodori. Poi prendeva una sorta di pressa e la passava sopra al setaccio e premeva, premeva finchè i pomodori non erano ben pressati e il succo veniva raccolto in un recipiente.

Poi si preparavano le “bottiglie”. Si prendeva una specie di bidone molto grande e lo si riempiva con le bottiglie e l’acqua. Il bidone veniva poi messo su un fornellino che in realtà era solo un piede dove sotto si preparava il fuoco con della legna. Noi tornavamo a casa dopo un po’ mentre il nonno non si muoveva da lì finchè le bottiglie non fossero pronte. Nel mentre noi donne pulivamo tutto. Alla fine andavamo tutti a dormire intorno alle 4/5 del mattino. Generalmente lo facevamo di sabato così non dovevamo preoccuparci troppo dell’ora che si faceva perché l’indomani era domenica e nessuno doveva andare a lavorare o a scuola.

Una volta all’anno invece, nel periodo invernale ci preparavamo per andare con i nonni a lavorare il maiale e creare i salami. Lo zio veniva a prendere me e la nonna, generalmente eravamo solo io e la nonna e ci portava col suo “tre ruote”(sarebbe quella che comunemente viene chiamata apecar) “abbasc a starz”. Così si chiamava il posto :”la starza”. Qui c’era la terra di mio zio che aveva già ucciso il maiale e quest’ultimo era pronto per essere lavorato e tutti insieme facevamo i salami. Questo capitava una volta all’anno.

Poi facevamo anche la vendemmia. Sempre fuori casa, c’era una zona in cui non era facile arrivare e spostarsi con il mezzo che trasportava l’uva e infatti era sempre un’impresa! Perché era una sorta di cortiletto molto stretto. In questo cortiletto ci mettevamo a fare la vendemmia. Il nonno con i piedi, perché prima si faceva con i piedi, schiacciava l’uva e il succo finiva in questa sorta di tinozza di legno molto grande. Si raccoglieva il succo e si metteva nelle botti a fermentare. L’uva pestata però non si buttava perché conteneva ancora succo al suo interno. Quindi si prendeva l’uva e la si metteva su questo macchinario di legno e con delle mazze di legno si premeva quest’uva e così usciva altro succo. E alla fine si metteva il succo a fermentare.

Un’altra cosa che ricordo di quando io ero ragazza erano i giochi. Si facevano molti giochi di squadra, si facevano nei cortili, nei giardini ed era bello perché era tutto molto più “naturale”. Tutta l’epoca in cui sono vissuta è molto lontana da quella attuale. Noi ci siamo “adattati” a questa società così complicata, così tecnologica ma non è la nostra realtà, quella in cui siamo cresciuti. Quella era molto diversa. Tra i giochi che facevamo nei cortili c’è: “a mazz e pivz”. In italiano si potrebbe tradurre in “la mazza e il pezzo”. Il pezzo era un oggetto di legno. In questo gioco si creavano delle piccole buche nel terreno come quelle che si creano nel golf. Poi si prendevano due mazze e questo pezzetto di legno che rappresenta “o pivz”. Eravamo due giocatori, uno da una parte vicino ad una buca ed uno dall’altra parte. Con la mazza ci passavamo il “pivz” lanciandolo così che scivolasse sul suolo e dovevamo stare attenti a che non entrasse nella buca dell’avversario. Quindi l’avversario doveva riuscire a bloccarlo con la propria mazza e a rispedirlo all’altro giocatore. E così si andava avanti finchè uno dei due giocatori sbagliava, non riuscendo a parare con la mazza “o pivz” e all’altro giocatore veniva quindi assegnato un punto.

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Un altro gioco era “il gioco dei sassolini”. In questo gioco che si poteva fare sia individualmente che con i compagni, si prendeva un sasso o una moneta e la si lanciava in aria e poi se ne prendeva subito un altro, lo si lanciava e nel mentre che questo cadeva giù si doveva raccogliere il precedente e metterlo da parte e così via. Ovviamente quando non si riusciva e il sassolino o la moneta cadevano a terra si perdeva. Vinceva chi faceva durare il gioco per più tempo senza sbagliare, nel caso in cui il gioco fosse in coppia e non individuale.

Anche la musica la vivevamo in modo diverso,ascoltavamo il giradischi, la vivevamo molto di più. Ascoltavamo di più le canzoni e ci rimanevano molto più impresse, le cantavamo sempre, le cantavamo per strada mentre passeggiavamo con gli amici ed erano molto diverse da quelle di ora. Se potessi sintetizzare la mia epoca con poche parole direi che fosse un’epoca più vera, con più concretezza mentre ora è molto più passiva e meno “reale”, molto più frenetica!

 

Ti ricordi invece nonna, la mamma di papà cosa faceva quando avevate mal di testa? Noi lo chiamavamo “l’uocchj”(gli occhi). Passava col dito vicino alla testa di papà o di chi si voleva far fare “l’uocchj” da lei. Faceva dei movimenti rotatori col dito in un senso e poi nell’altro. Alla nonna iniziava a venire voglia di sbadigliare. Più sbadigli faceva e più significava che quella persona avesse “molti occhi addosso” e cioè le invidie delle persone. Nel mentre lei aveva gli occhi chiusi e se non sbaglio recitava anche qualcosa. A volte faceva l’uocchj anche con la posa del caffè oppure con l’uovo, lo apriva e lo faceva colare in un piatto e a seconda del disegno che si veniva a creare poteva capire quanti occhi avesse addosso. Contemporaneamente continuava a passare il suo dito sulla fronte del’interessato e svolgere lo stesso rituale che ti ho raccontato prima. Ovviamente questo rito serviva anche a” togliergli gli occhi di dosso”, per questo veniva fatto e più la nonna sbadigliava più significava che le invidie della gente fossero tante.

Una delle cose più belle che la mamma di tuo padre faceva e che hai vissuto anche tu da bambina era l’utilizzo dell’incubatrice. Esisteva un macchinario che era una vera e propria incubatrice elettrica . Si mettevano le uova delle galline in questo macchinario in cui le uova aiutate dal calore e dalla luce della lampada, si riuscivano a schiudere più velocemente e tu grazie ad una sorta di oblò potevi vedere come procedeva l’incubazione elettrica. Da un lato la si usava per aiutare le galline a covare le uova quando faceva freddo e le uova erano tante mentre dall’altro lato lo si faceva anche solo per il divertimento di vederle schiudersi prima. Non appena le uova si schiudevano la nonna prendeva i pulcini, li metteva in un grande scatolo di cartone e facevano davvero un gran baccano! Per evitare che saltassero dal cartone e scappassero chiudeva lo scatolo con un coperchio e realizzava dei forellini per il passaggio dell’aria. Tu e i tuoi fratelli andavate lì e li accarezzavate sempre. Poi quando iniziavano a diventare più grandicelli e gli spuntava la cresta la nonna li metteva nel recinto con tutte le altre galline, papere, pavoni, insomma con tutta l’armata brancaleone che c’era.

 

Questi sono alcuni dei ricordi più belli di usanze dell’epoca che ora non esistono quasi più o comunque potrebbero rischiare di venire dimenticate…

 

Lince

 

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