Discriminazioni contro i bambini

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Riguardo all’inutile carta discriminatoria chiamata Green Pass, ci sarebbe molto da dire, ma mi limiterò a raccontare alcuni episodi vissuti direttamente, cercando di essere sintetica, ma non troppo.

Per quanto riguarda il lavoro… intanto devo premettere che dall’avvio della campagna vaccinale, i colleghi facevano a gara a chi si faceva l’iniezione per primo e non facevano altro che parlare di quante dosi avessero fatto, di quali fossero le loro personali date di prenotazioni, ecc… Addirittura una mia collega uscì di casa quasi in mutande perché si era liberato un posto per l’iniezione velenosa, ma le avevano dato solo un quarto d’ora di tempo per raggiungere l’ospedale; quindi… pur di anticipare la dose prenotata per qualche giorno dopo, si precipitò in strada così com’era vestita e conciata… fierissima di avercela fatta! Questo era l’ambiente in cui lavoravo ogni giorno. Per forza di cose avevo smesso di comunicare, standomene più in disparte di quanto non facessi prima. Ovviamente il fatto che non fossi vaccinata lo immaginavano tutti, dal momento che avevo già rifiutato il tamponamento di massa organizzato qualche tempo prima. Una volta approvato il decreto che imponeva il green pass per accedere al posto di lavoro, notai che iniziarono ad evitarmi accuratamente e spesso li vedevo parlottare tra loro in gran segreto. Gli argomenti molto in voga fino a poco tempo prima (covid/vaccini/green pass) venivano trattati solo quando non ero nei paraggi. L’unico che conosceva la mia posizione era il mio Capo ufficio; considerato il clima di incoscienza che aleggiava in ufficio, non avevo nessuna intenzione di farlo sapere. Nel lasso di tempo tra l’uscita del decreto e la data della sua applicazione (15/10) il mio capo si lasciò maldestramente scappare questa informazione privata con il Direttore dell’Area, (collega che conosco da quasi 30 anni), costui… dall’istante stesso in cui lo seppe, prese subito a cuore la mia condizione di povera stupida (secondo lui), iniziando a prendermi in disparte per convincermi di quanto stessi sbagliando, dapprima con le buone maniere, ma ben presto con insulti e minacce. Purtroppo non sono riuscita a registrare le conversazioni… a volte mi telefonava dal suo ufficio SOLO per chiedermi se avevo adempiuto alla vaccinazione, per poi ricordarmi che mi avrebbero lasciata a casa senza stipendio perché “gente come me meritava di morire di fame”. Tutto questo urlando in modo aggressivo. A volte qualcun altro provava a sedersi alla mia scrivania e con le buone maniere cercava di farmi ragionare con discorsi che potevo smontare facilmente, interessante come cercassero tutti di farmi cadere in discorsi “complottisti”, come se stessero recitando lo stesso copione, ma rispondevo a monosillabi, per cui erano loro alla fine a far uscire dalle loro bocche delle castronerie mai sentite, che potevo facilmente mettere in ridicolo. Una collega mi diede persino della testimone di Geova, tanto per dire il livello delle conversazioni. Eppure sto parlando di persone laureate e con posizioni lavorative di rilievo… Alla fine la data del 15/10 arrivò e rimasi a casa, aderendo inizialmente allo sciopero. Ricordo che l’ultimo giorno di lavoro mi sentivo molto sollevata, come se stessi uscendo di prigione, ma al tempo stesso mi sembrava di lanciarmi nel vuoto, non avendo idea di come avrei vissuto senza stipendio per così tanti mesi. Queste sensazioni contrastanti mi accompagnarono per tutto il periodo, ma questo è un altro discorso. Ero sollevata perché lavorare in un Ente Pubblico significava lavorare per il sistema e dover in qualche modo sostenere questi decreti folli; fino a quel momento ero riuscita ad evitarlo, ma non so come sarebbe andata a finire. Poi, comunque, lavorare in quell’ambiente era deteriorante e avvilente. Così entrai in sciopero finché fu possibile. Ero molto indecisa sul tipo di azioni da intraprendere da quel momento in poi, ma l’ultimo giorno di sciopero mi venne in mente un’idea un po’ provocatoria che mi piaceva molto.

 

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Premettendo che prima del 15/10 lavoravo in parte in ufficio e in parte in smart working (due giorni alla settimana) e avevo saputo che alcuni colleghi stavano continuando a lavorare in questa modalità e che era consentito ancora per altri 10 giorni, mi svegliai al mattino pensando che il giorno successivo sarebbe stato giorno di smart e che non avevo ancora comunicato nulla di ufficiale circa il possesso o meno del green pass; quindi, chiesi al mio capo ufficio se il giorno dopo avessi potuto (come sempre) lavorare da casa. Non ricevendo risposta, il giorno successivo mi collegai telematicamente alla mia postazione e iniziai a lavorare come sempre, prima però inviai una mail al Capo e al simpatico Direttore (quello che mi voleva vedere morire di stenti) per avvisarli, spigando le mie ragioni. Il Direttore non poté contestarmi nulla quel giorno (e gli rodeva troppo!), ma il giorno dopo si impegnò moltissimo (come mai in vita sua, dato che è sempre stato uno scansalavoro) nel convincere chi di dovere e far emanare un provvedimento interno che impedisse a TUTTI i dipendenti di lavorare in smart working con decorrenza immediata (mancava solo una settimana…), questo per togliere A ME la possibilità di percepire stipendio per DUE GIORNI. Non so se si percepisce la cattiveria lurida di questa persona, che persona non è più, secondo me. Nel corso dei mesi scrissi anche alcune lettere all’Amministrazione per stimolare qualche mente pensante circa la vera natura pericolosa del Green Pass, ma nessuno si degnò di rispondermi, tranne il Direttore che ovviamente rispondeva con frasi fatte e citazioni di articoli di “legge”, finchè poi mi stufai, capendo che non c’era nulla da salvare. Lavoro in questo Comune da 29 anni e questi sono i colleghi di sempre, anche i singoli elementi dell’Amministrazione comunale li conosco da molto tempo, mai mi sarei aspettata certi atteggiamenti. Ammetto di essermi sentita delusa. Inizialmente speravo che avrebbero trovato una soluzione: potevo benissimo lavorare da casa, così come potevo lavorare in un ufficio isolata, se questo fosse stato il vero problema. Ma poi ho capito che nessuno aveva mai preso in considerazione possibili soluzioni per me, in fondo “potevo tamponarmi ogni due giorni” e avrei risolto tutto. Se ne sono lavati le mani, pur conoscendo perfettamente la mia condizione economica. Il loro silenzio alle mie lettere non lo dimenticherò mai. Archiviato il Green Pass sono tornati tutti improvvisamente alla modalità “normale”, tasto “on” e tutti amici come prima, non per me ovviamente.

Comunque, penso che ci sia sempre la possibilità di dire NO, tanto più le istituzioni (come i Comuni, i Sindaci) potevano ribellarsi, ma pochissimi ci hanno provato, purtroppo. Interessante un episodio capitato a mio figlio: aveva perso tutti i documenti, tra cui la carta d’identità, nel periodo in cui il Green Pass era obbligatorio per entrare nei Comuni. Mio figlio si recò quindi al minuscolo ufficio anagrafe del paese, ma la dipendente non lo fece entrare perché non aveva il glorioso Green Pass, dicendogli di andare a fare un tampone (!). “Vai a fare il tampone e poi ti rifaccio la carta”. Caspita neanche un documento d’identità ti rilasciavano più senza quel coso! Poteva consegnarglielo dalla finestra (per quanto sia assurdo pensarlo adesso), l’ufficio è al piano terra!! In più… se non avevi il Green Pass non potevi lavorare e guadagnare denaro, e il tampone costava almeno 10 euro! Io mi sarei vergognata di rifiutare un servizio a un cittadino, o fargli spendere dei soldi inutilmente! Non resistetti e la chiamai. Dato che la conoscevo abbastanza bene le dissi proprio: “ma ti rendi conto……???”, ma non ci fu verso di farla ragionare, mi rispose con la solita frase sentita mille volte: “Posso anche essere d’accordo con te, ma……….” Ma cosa?! Se sei d’accordo con me ti ribelli!! Fai di tutto per andare incontro a un cittadino!…. e in più in un paesino di mille abitanti ci si conosce tutti… Niente, non lo fece entrare, né fu disponibile per rilasciare il documento in altra modalità. Fu così che mio figlio rimase senza documenti fino alla fine del G.P.  Fine della storia.

Il fatto di non avere il G.P. comportava appunto non avere lo stipendio e se questo è l’unico a sostenere una famiglia, diventa un grosso problema: le spese devono essere ridotte all’indispensabile e l’indispensabile ridotto alla metà. Per questo mia figlia piccola andò a scuola per quasi tutto l’inverno con una scarpa un po’ rotta e dovetti aspettare alcuni mesi prima di comprarne un paio nuovo.

 

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Può sembrare una banalità, ma questo fatto mi tormentava ogni giorno che usciva per andare a scuola. Verso la fine del periodo G.P. mi decisi a comprarle, ma non si poteva entrare in un negozio! E le scarpe dei bambini non si possono comprare on line perché devono essere provate! Sapevo di una mia amica che era entrata in un negozio, una catena molto conosciuta (OVS!!) per comprare dei vestitini per le sue due figlie: arrivata alla cassa non le permisero di comprarli perché non aveva il G.P., e nonostante lei abbia protestato e insistito perché evidentemente le servivano davvero: niente! ha dovuto lasciare i vestiti e andarsene davanti agli altri clienti, trattata anche male. Quindi sapevo bene che l’”umanità delle persone” fosse finita col G.P. e non avevo intenzione di provarci in questo modo, avevo un altro piano. Dato che in molti mi avevano detto che nei grandi negozi potevi entrare, toccare tutto in bella vista e nessuno ti diceva niente, solo alla cassa ti chiedevano il lasciapassare e scattava la discriminazione, allora avevo pensato di entrare, misurarle le scarpe e poi mandare alla cassa mia figlia a pagare, in quanto a 10 anni non era obbligatorio avere il G.P.. Ci preparammo per questa mini-farsa, poi però, incontrammo un’altra mamma munita di G.P. che si propose di andare lei alla cassa, così non ho potuto sperimentare la mia tattica. Sì però che fatica!

Per ultimo vorrei dire due cose sulla scuola al tempo del Distanziamento. Bene o male sappiamo tutti quali siano state le restrizioni e gli obblighi, ma vorrei soffermarmi sul “prima” e il “dopo” le vacanze di Natale dell’anno passato (2021/22). Premetto che mia figlia ha costantemente il naso che cola, ma si sa che i bambini sono fatti così, li chiamano “mocciosi” mica per niente! Ha iniziato l’anno scolastico già in questa condizione, e non era l’unica, mi diceva che alcuni bambini tossivano anche parecchio, ma le maestre non avevano nulla da dire… era normale, è sempre stato normale! Fino alle vacanze di Natale nessun genitore portava i figli a fare il tampone, non gli passava neanche per l’anticamera del cervello di fare una cosa del genere! Ma dopo Natale tutto cambiò, drasticamente! Forse già poco prima delle vacanze si sono avvertiti i primi segnali di psicosi collettiva, erano usciti i primi vaccini per i bambini sotto i 12 anni e quindi era già iniziato il lavaggio del cervello su questo tema. Ma dopo Natale è stato il delirio. Intanto sono uscite nuove regole sulla scuola, una dopo l’altra, contrastanti, e nessuno capiva più niente, ma era chiaro che finire in D.A.D. era più semplice che bere un bicchiere d’acqua. Infatti capitò in breve tempo anche alla classe di mia figlia. C’erano stati due bambini positivi e per questo motivo TUTTI gli altri, tranne mia figlia, fecero il tampone, pur non avendo neanche un sintomo. Immaginiamoci le code di bambini d’inverno davanti alle farmacie (perché successe la stessa cosa in tutta Italia) a prendersi realmente qualche malanno pur di sapere se erano positivi o negativi! Le disposizioni per la classe erano: 10 giorni in D.A.D. e poi TAMPONE per rientrare. Ma col cavolo che avrei fatto un tampone a mia figlia! Sono andata a cercare una vecchia circolare dell’A.S.L. che precisava che facendo la quarantena di 14 giorni, anziché di 10, si poteva rientrare in classe senza tampone, ma questo NON ERA SCRITTO nella circolare consegnata alla classe; quindi, tutti i bambini si sottoposero al secondo tampone, tranne mia figlia che non ne fece neanche uno. Bisogna dire che questa mia azione (come immaginavo…) per le maestre fu come ingoiare a forza un boccone indigesto… Ma perché mai, se lo diceva l’ASL?? Dunque mia figlia fece 4 giorni in più in DAD insieme ad altri bambini positivi, evitando il tampone, mentre il resto della classe tamponato era a scuola; tutto nel rispetto delle regole. Ricordo la maestra che chiedeva davanti a tutta la classe a questi quattro bambini in DAD, a uno a uno, chiamandoli per nome: “Tu … quando fai il tampone per rientrare in classe?”, “E tu …. Quando lo fai?” e tutti i bambini rispondevano chi: “oggi”, chi: “domani”; a mia figlia non fece questa domanda, ma mi è spiaciuto vederla molto preoccupata e imbarazzata durante questo interrogatorio ai compagni.

 

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Alla fine, la maestra terminò la tortura verbale dicendo “BRAVI, COSI’ TORNIAMO TUTTI IN SICUREZZA”. Non so se la gravità di questo dialogo l’ho percepita solo io, ci tenevo a raccontarlo, e comunque non finì qui, perché poi, tornata a scuola, le fecero pesare per un po’ questa azione irresponsabile (secondo loro). Ma non potevano contestarla!! E questo le faceva letteralmente impazzire. Dopo un’altra assenza di due giorni che avevo giustificato con “indisposizione”, una maestra stizzita le chiese subito se avesse fatto il tampone, lei rispose di NO e la reazione della maestra fu sottilmente astiosa nei suoi confronti, andò anche a parlottare con le altre maestre tenendo nervosamente il diario di mia figlia in mano. Ma anche qui non potevano dirmi niente.. Certamente questo atteggiamento ostile è stato imbarazzante a dir poco per una bambina. Dopo quella volta ho imparato la lezione e ho sempre giustificato le assenze con “motivi famigliari” e la prima di quelle volte la stessa maestra ebbe il coraggio di chiedere a mia figlia che cosa avesse fatto in quei giorni di assenza e mia figlia rispose “non mi ricordo”, brava figliola! non pensavo avessero l’indelicatezza di porre una domanda del genere, perciò mia figlia non era preparata, ma la risposta è stata perfetta. Che fatica però!

Sappiamo che le restrizioni per i bambini sono state terribili, forse non erano uguali in tutte le scuole, ma c’è stato un periodo, sempre “dopo le vacanze di Natale”, in cui dovevano fare la merenda a file. “Prima di Natale” la merenda andava fatta seduti al banco, senza potersi girare a destra o sinistra per parlare con un compagno, perché: metti che parta uno sputacchio e vada a posarsi sul panino del compagno… tragedia! Quindi: sguardo avanti e masticare in silenzio. Ma “dopo le vacanze di Natale”, con la merenda a file, abbiamo raggiunto l’apice della crudeltà. Sempre seduti al banco, sguardo dritto e fiero, bocca chiusa, ma con l’aggiunta degli incitamenti dei compagni della “fila che non mangia” (con lo stomaco che urla!) costretti a guardare gli altri mangiare, che fanno? Li incitano a mangiare il più in fretta possibile! Potendo anche girare la faccia perché mascherata e con fare anche un po’ rabbioso perché, si sa, la fame è brutta! Che bella ricreazione… Dopo poche settimane si sono accorti della follia (forse..) e hanno smesso con la maledetta merenda a file, nel frattempo i bambini hanno dovuto sperimentare anche questo…

 

Lauraf

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