18 anni compiuti su di un letto di ospedale

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Alcuni mesi fa, mentre mi dirigevo verso il mio ufficio, ho incontrato una cara collega con la quale ho condiviso un periodo lavorativo e subito ho notato che qualcosa in lei non andava. Le ho chiesto se fosse successo qualcosa e per tutta risposta è scoppiata in lacrime e mi ha raccontato quanto segue.

Suo nipote di 17 anni un giorno si è svegliato accusando forti dolori alla testa; la madre, pensando che fosse una cosa passeggera, gli ha somministrato un OKI, consigliandogli di rimanere a casa e di non andare a scuola, così avrebbe approfittato per riposare. Purtroppo questo dolore alla testa non ha accennato a diminuire, anzi, con il passare delle ore è aumentato sempre più, fino a quando la sera i genitori hanno deciso di recarsi in Pronto Soccorso per un controllo.

Dopo alcune ore di attesa, il ragazzo è stato sottoposto ad esami del sangue e TAC ed è emersa una diagnosi terribile: un ictus gli aveva causato un grosso ematoma e doveva essere immediatamente rimosso tramite operazione; inoltre, alcuni parametri del sangue non erano a posto e si riservavano ulteriori controlli successivamente all’operazione.

Il ragazzo è stato operato, ma la sentenza più crudele doveva arrivare: leucemia fulminante. Da lì è cominciato il calvario: isolamento, chemio, somministrazione farmaci sperimentali…

Con molta delicatezza mi sono permessa di chiedere se avesse fatto il vaccino e la mia collega, ex infermiera, mi ha risposto che sì, si era fatto il vaccino Pfizer da poco, perché è un giocatore di calcio e non poteva rischiare di essere scartato perché non vaccinato, e che effettivamente anche lei pensava che ci fosse una correlazione tra il vaccino e quello che gli era accaduto. Dopo il siero il nipote aveva lamentato stanchezza, spossatezza, non riusciva più ad allenarsi come prima, ma lo attribuiva all’eccessivo sforzo degli allenamenti e allo stress della scuola. Nessuno immaginava cosa stesse accadendo nel suo corpo.

Sono passati diversi mesi dall’episodio e il ragazzo ha compiuto 18 anni in ospedale, ha già concluso un ciclo di chemio, sperimentato un farmaco senza ottenere risultati, è stato trasferito a Roma ed è in attesa di trapianto sperando che si trovi un donatore compatibile (i genitori lo sono solo al 50%).

Una mattina, recandomi in ufficio, incontro una mia collega con la quale faccio un breve tragitto chiacchierando e condividendo la nostra passione per la corsa. Siamo ex maratonete e lei ha corso anche la maratona di New York. Le propongo di riprendere a correre insieme, poiché siamo ferme da un po’, e lei mi risponde che da quando ha fatto il vaccino non è più la stessa: ha sempre l’affanno e riesce a malapena a fare le scale. A volte deve anche fermarsi per riprendere fiato. Mi dice che da un lato si è pentita di averlo fatto, ma la paura e le restrizioni erano troppo pesanti da sopportare, per cui ha rischiato. Non mi sono sentita di dirle nulla, ha parlato il mio silenzio.

Un giorno mi è comparsa su FB la foto del mio chiropratico, nonché ex allenatore (correvo la maratona), il quale scriveva di avercela fatta e che era felicissimo. La foto lo immortalava esultante su una scalinata e i commenti che seguivano erano tutti di incitamento e complimenti, per cui ho pensato che fosse reduce da un’altra sua folle impresa, essendo un ultramaratoneta che aveva corso anche la Spartathlon, ossia la distanza che separa Sparta da Atene (250 km). Era un po’ di tempo che non lo frequentavo, né mi comparivano suoi post (anche perché su FB ci bazzico poco). Un pomeriggio decido di andare a correre con una mia amica e tra le varie cose mi fa menzione proprio di lui, chiedendomi se avessi saputo di ciò che gli era accaduto. Non sapendo di cosa stesse parlando, lei mi ha raccontato che era stato molto male e di essere stato ricoverato in rianimazione per oltre un mese con la diagnosi di setticemia da Covid. Pensavo che non avesse fatto il vaccino, invece aveva fatte tutte e tre le dosi.

 

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Ovviamente i medici non lo hanno considerato un evento avverso, ma sono strasicura che sia tutto riconducibile al siero. Non so come stia ora, sembra sparito dalla circolazione, ma credo che i segni di quello che ha passato li porterà per lungo tempo e la sua carriera può dichiararsi conclusa.
Il mio responsabile d’ufficio soffre da sempre di psoriasi e dopo aver fatto il vaccino ha riscontrato ulteriori problemi a livello immunitario. È stato sottoposto a controlli e a cure con cortisone per mesi, tuttora non riesce a risolvere il problema. Mi ha confidato, in tutta franchezza, che avrebbe fatto volentieri a meno del siero se avesse saputo che gli avrebbe creato questi scompensi e si è raccomandato di non farlo nella maniera più assoluta, in quanto potrebbe scatenare reazioni avverse nei soggetti predisposti.

Parlando con una infermiera del Pronto Soccorso dell’ospedale della mia città, la stessa mi ha riferito che sono stati riscontrati molti eventi avversi a seguito dei vaccini Pfizer e AstraZeneca, tra cui miocardite e ictus. Mi ha detto chiaramente di aver fatto bene a non vaccinarmi, perché sono sempre più frequenti i ricoveri di persone che presentano patologie accorse dopo la somministrazione del siero. A suo dire, loro sono tenuti a non divulgare queste notizie, ma la situazione va peggiorando e teme anche per lei che di dosi ne ha dovute fare tre.

Proprio la settimana scorsa parlavo con un mio collega, il quale mi ha raccontato che il padre ha avuto un ictus l’anno scorso subito dopo aver effettuato il vaccino (la mattina ha fatto il vaccino e la sera ha avuto l’ictus). Anche l’urologo ha dichiarato la stretta connessione con la somministrazione del siero e il malessere accorso. A seguire, gli è stato diagnosticato un tumore per cui sta effettuando cicli di chemio.

 

Miriel.

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