Gli Sbilfs – Fvg

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La prima volta che ho sentito la parola “Sbilfs” è stato 15 anni fa, quando nella mia regione hanno aperto un nuovo locale con questo nome. Ci passavo davanti ogni giorno e ogni volta che vedevo l’insegna mi facevo la stessa identica domanda: “ma che razza di nome gli hanno dato??? È una parola stranissima, troppe consonanti attaccate, non ha senso.”


So che nella lingua friulana molte parole sembrano davvero ostrogoto, ma questa mi era proprio nuova. Al che, sono andata a chiedere lumi ai miei genitori per capire cosa significasse quella parola, ma loro mi hanno detto che non è un termine specifico che indica un oggetto, ma è il nome di un popolo. Un popolo magico che abita nella nostra regione. Gli Sbilfs, appunto.

Gli Sbilfs vengono definiti gnomi da alcune persone, folletti dei boschi da altre, da alcuni sono chiamati troll ο fauni, ma tutti concordano sul fatto che sono creature magiche che popolano l’area alpina nel Nord del Friuli. Il Friuli, infatti, è una regione carica di miti e leggende che vengono tramandati di generazione in generazione, e gli abitanti della montagna erano soliti incolpare gli Sbilfs di tutte quelle situazioni alle quali non riuscivano a dare una spiegazione logica.

 

Questi leggendari folletti si nascondono mimetizzandosi e compaiono improvvisamente nel folto dei boschi, ma in taluni casi anche vicino all’uomo, in stalle e fienili; nessuno sembra riuscire a prenderli, al massimo si possono avvistare ma senza avvicinarsi troppo. Generalmente infatti gli Sbilfs sono invisibili, ma possono manifestarsi ad alcune persone e rimanere invisibili ad altre;

 

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sono quindi molto difficili da incontrare e da vedere, cosa che sembra essere più facile ai bambini e ai buoni di cuore. 

 

Sono di piccole dimensioni, intelligenti, inafferrabili, eternamente fanciulli, amanti dei giochi, della danza e della musica. Il carattere dello Sbilf è fortemente mutevole, burlone ma non di natura cattiva, anzi ama scherzare e fare piccoli dispetti. La leggenda dice che sono simpatici e impulsivi, agiscono d’istinto e molte volte aiutano le persone che sono in difficolta nei boschi, e i contadini erano soliti ringraziarli lasciando qualche frutto non colto sugli alberi.

 

La leggenda li ha anche classificati, dando un nome ad ognuno di loro. Ecco allora il “Cjalciùt”, che si siede sul petto di chi dorme e ne disturba il sonno; il “Bergul”, che si diverte a far inciampare la gente; il “Pavâr”, che abita negli orti e conosce tutti i segreti delle coltivazioni, dei ritmi lunari, delle stagioni ed aiuta volentieri chi ama la natura; il “Bagan” è lo sbilf della stalla, ama gli animali, ma è un po’ lunatico; lo “Zuan”, è girovago, sempre alla ricerca di un bel posto dove schiacciare un pisolino, con l’hobby della raccolta di tutto quello che trova; il “Mazzarot”, ha la risata sardonica, che si mimetizza perfettamente nelle ceppaie dei faggi ma, a volte, si rende visibile con i suoi sgargianti vestiti rossi. Amano molto il colore rosso, infatti, e sono anche ghiottissimi di Zûf (una preparazione tipica friulana di latte e farina di mais che si usava un tempo per servire la colazione).

 

Gli Sbilfs, protagonisti di racconti fantastici, sono la rappresentazione del rispetto che avevano i nostri antenati nei confronti della Natura. Un profondo rispetto che suggeriva di non tagliare mai un albero senza motivo, dare valore ad ogni singolo albero e per non sprecare i doni di madre natura.

 

Ilary

 

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