Essere infermiera oggi: conoscere meglio questa figura partendo dalla mia personale esperienza

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Essere infermiera oggi: conoscere meglio questa figura partendo dalla mia personale esperienza

La prima infermiera nata nella storia (o quella conosciuta per primo) si chiamava Florence Nightingale (Firenze 12 maggio 1820 – Londra 13 agosto 1910). L’organizzazione dell’assistenza infermieristica ai suoi tempi era molto carente, ma Florence applicò validi metodi per ridurre la mortalità e la morbilità all’interno degli ospedali inglesi e dei campi militari durante la Guerra di Crimea. I suoi interventi assistenziali ridussero la mortalità per malattie tra i soldati inglesi: adoperò le prime norme igienico – sanitarie, organizzò l’assistenza ai malati e combatté per garantire cure efficaci. Le sue teorie e i suoi interventi suscitarono enorme interesse, determinando una vera e propria svolta del sistema di assistenza che vigeva in quell’epoca. Divenne la cosiddetta “fondatrice dell’assistenza infermieristica” e un’importante figura rappresentante di tutti gli infermieri nel mondo (la si festeggia il 12 maggio, giornata mondiale dell’Infermiere).

Io mi presento, sono una semplice infermiera del mondo moderno e vorrei condividere con questo scritto la mia esperienza di lavoro con la speranza di poter far conoscere meglio la figura dell’infermiere oggi. Adoro svolgere questa professione nel vero senso della parola e per questo vorrei che fosse più valorizzata la figura dell’infermiere, ancora a molti sconosciuta e attorniata da pregiudizi. Nonostante non mi reputi l’infermiera perfetta, cerco di svolgere il mio lavoro al meglio, mettendoci passione e determinazione sin da quando ho scelto di diventare infermiera. Mi reputo fortunata in questi tempi ad aver trovato un lavoro e che quello che svolgo mi piace. Fare l’infermiere è un impegno e credo che non sia una professione da scegliere perché è più facile trovare questo lavoro oggi, ma perché per poterlo fare bene deve prima di tutto piacere, altrimenti a lungo andare diventerebbe solo un peso per sé stessi e per chi si ha intorno.

Come esistono tanti tipi di persone, nel mio lavoro ho conosciuto tanti “tipi” di infermieri. Ci sono infatti infermieri che agiscono cercando di cambiare la società in cui vivono (come ad esempio è riuscita a fare la Nightingale) e infermieri che si adeguano, che vorrebbero cambiare le cose ma solo dicendolo a parole. Ci sono infermieri che mettono il cuore e l’anima per svolgere questo tipo di professione, anche rischiando ogni giorno la propria vita per il prossimo, e ci sono infermieri che fanno il proprio lavoro tanto per fare e pensano solo allo stipendio a fine mese.

C’è da dire che tanti sanitari (medici, infermieri) e non sanitari, possono rischiare la vita ogni giorno, dato che lavorano a stretto contatto con le persone. Possono trovarsi chiunque davanti, anche il peggior delinquente. Ci si può aspettare qualche aggressione fisica e verbale in  ogni momento, soprattutto per chi lavora con pazienti psichiatrici, chi lavora in 118 e in Pronto Soccorso poiché sono i più esposti a questi rischi. Anche chi si reca in zone pericolose, zone terremotate o di alta montagna. Non è un lavoro semplice come può sembrare e non a caso è un lavoro che sono tutti disposti a fare. Qualcuno addirittura la chiama “missione” e forse per qualcuno è proprio così. Quindi esistono diversi tipi di infermieri, ci sono quelli più e meno bravi, ma credo che la maggior parte siano quelli bravi e capaci e sono loro che fanno la differenza in questo sistema. In questi anni ho incontrato tantissimi infermieri eccellenti, con più o meno esperienza ed erano tutti bravissimi, con un cuore d’oro. Me li ricordo con affetto perché molti di loro mi hanno insegnato tanto, non solo nel lato pratico del lavoro ma anche e soprattutto nella riflessione interiore di ogni cosa, nell’esame di ogni mia emozione o sentimento che potevo provare di fronte alle situazioni e nel crescere e imparare a gestirli. Ho lasciato andare tante mie paure e ho conosciuto tanti miei lati coraggiosi, anche grazie a loro. Ho imparato la relazione di aiuto che si instaura con l’altro, il counselling, a capire che si può rendere felice una persona che sta male anche compiendo un piccolo gesto. In poche parole, con questa professione, impari a vedere la vita in un modo diverso, a essere paziente e altruista, a vedere le persone entrare e andare via dalla tua vita, a elaborare lutti, a essere lì per le persone quando hanno bisogno di affetto e di ascolto. Impari a non avere pregiudizi e a rendere felici le persone. Gioisci quando guariscono o migliorano il loro stato di salute e sei triste quando se ne vanno per sempre. Non impari mai ad abituarti alle persone, ad abituarti alla nascita di un bambino o alla morte di una persona anziana o giovane che sia. Tu rimani sempre una persona, la tua umanità rimane in te, ma riesci a capire che tu sei lì per uno scopo e cioè quello di fare da supporto, per aiutare e assistere. Sei presente con amore per gli altri ma al tempo stesso tu rimani l’infermiere di turno. Ti emozioni per gli altri ma al tempo stesso rimani fermo in te senza farti trascinare dai sentimenti negativi. Se una persona piange gli vai vicino, gli prendi la mano, ti siedi accanto, la guardi negli occhi e gli chiedi con voce calma cosa è successo e se ti vuole raccontare la sua storia. E allora vedi che ti stringe la mano ancora più forte, che ti guarda negli occhi con le lacrime ma tu devi riuscire a non piangere: tu devi essere più forte di lui. Tu sei lì per supportarlo e sta lì quella cosa che ti spinge a fare per gli altri; ad avere in un certo modo un distacco ma essere empatici nello stesso momento e questo è importante per rimanere in pace e non essere influenzati.

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Ecco perché io amo tanto la mia professione. Perché l’infermiere è la figura sanitaria più vicina alla persona che sta male e ha bisogno di aiuto. L’infermiere ha un importante ruolo nella società. Esso continua ad evolversi e non è possibile ignorarlo. Si evolve sempre di più, diventando sempre più complesso e pieno di autonomie e responsabilità. Da tempo oramai l’infermiere non assiste il medico, ma collabora con lui per l’obiettivo finale: la salute e il benessere della persona. Il medico cura la persona da un punto di vista clinico, mentre l’infermiere (che oggi non si chiama più infermiere professionale ma solo “infermiere”) assiste la persona da un punto di vista olistico. È il cosiddetto “professionista della salute”, che ha responsabilità del processo di assistenza infermieristica (o Nursing, fondato da Florence Nightingale). Egli mette al centro il paziente (o meglio dire la persona) e cerca di capire quali siano i suoi bisogni e i suoi problemi e le cause dei suoi problemi (identifica una diagnosi infermieristica e i problemi collaborativi con il medico). Successivamente identifica degli obiettivi (in base alle priorità dei problemi che la persona manifesta) e pianifica e organizza gli interventi da attuare con il paziente stesso per raggiungere gli obiettivi volti a promuovere la sua salute. Infine, è responsabile dei risultati ottenuti del processo di assistenza infermieristica.  Ha anche ruolo di educatore alla salute, ha autonomie nelle scelte dell’assistenza e diverse responsabilità. Offre risposte globali e personalizzate a ciascuna persona poiché ogni persona è diversa dall’altra. Identifica, previene e tratta problemi di salute reali e potenziali; identifica punti di forza e debolezza della persona, richiede tanta capacità di sapere, saper fare e saper essere e conoscenza delle materie scientifiche, logiche e matematiche (almeno basilari). Si occupa delle risposte della persona e mantiene il rispetto di chiunque abbia davanti e delle sue scelte, anche se può esser non d’accordo con alcune di esse. Può lavorare in tanti ambiti come area critica o emergenza-urgenza, pediatria, psichiatria, chirurgia, medicina e tanto altro. Rappresenta anche un punto di tramite tra la famiglia e i medici, ed è quello che si prende più responsabilità e deve pensare alla relazione con il tutto. I medici, come dicono certi infermieri, sono una categoria “a parte”. Sono fondamentali, quanto gli infermieri, nella risoluzione dei problemi della persona, ma come esistono diversi tipi di infermieri, esistono anche diversi tipi di medici. Molti medici con più anni di esperienza non conoscono le nuove competenze dell’infermiere, e lo sottovalutano. Ci sono quelli che invece si credono i padroni dell’universo e a loro tutto è permesso. Ci sono però anche quelli che ci rispettano nel nostro ruolo, amano le persone e sono grandiosi in tutti i sensi, quasi da definirli “angeli”. Esistono diversi tipi di medici, e tutti loro non possono fare a meno del personale infermieristico. Nella loro mente, piena di informazioni e cose da memorizzare, dimenticano spesso cose pratiche e quindi l’ infermiere deve fargliele presente.

Tornando al discorso sugli infermieri, molto spesso ho incontrato quelli che perdevano la loro grinta e dicevano, mentre lavoravano: “ma chi me lo ha fatto fare” . Questa frase mi addolorava ogni volta che la udivo, soprattutto quando ancora ero tirocinante. Devo dire però, che una volta (o forse anche più) è capitata di uscire anche dalla mia bocca, durante un’ esperienza lavorativa. Esprimerla è stato molto doloroso per me. L’ho detta non perché non mi piaccia quello che faccio, tutt’altro, ma perché spesso (come viene fatto in certi ambienti) a causa della mancanza di personale e della scarsità di materiale da utilizzare, non puoi fare il tuo lavoro come lo dovresti fare e come ti era stato insegnato attraverso la teoria. La teoria è bellissima, purtroppo l’aspetto negativo è che spesso è molto lontana dalla realtà pratica. Tu volevi seguirla con tutta te stessa ma troppo spesso non potevi farlo perché soffermarti ad ogni cosa come ad esempio ogni norma igienica insegnata, voleva dire “perdere il tempo”. Tutto oggi viene dato per scontato, facendoti lavorare a ritmi velocissimi, troppo veloci che non riesci nemmeno a vedere in faccia la persona che hai di fronte. A chi ci comanda sembra che non importi più neanche delle persone che assistiamo.

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Dopo l’aziendalizzazione del Sistema Sanitario, i pazienti sono diventati “clienti” e la cosa importante è lucrare e risparmiare su tutto. Tu che lavori con le persone sei costretto a comportarti e a diventare come un automa. Mi sorge spontanea una domanda, che ultimamente vedo scritta molto spesso sui giornali di informazione infermieristica: “come mai molti infermieri ritengono il loro lavoro usurante?” Fortunatamente non viviamo in un sistema sanitario come quello che esisteva ai tempi della famosa Nightingale, ma oggi come è la situazione in Italia? Lasciatemi dire la mia. La situazione nei nostri ospedali italiani varia da Nord a Sud, ma la differenza tra Nord e Sud (a mio parere) non esiste dato che dipende da che punto dell’Italia stai guardando. Molti ospedali sono all’avanguardia, grazie a Dio, ma tanti altri sono al degrado. Questo è un dato di fatto e tante persone si stanno accorgendo delle condizioni dei nostri ospedali pubblici e non solo. Tutti oggi conoscono la cosiddetta “malasanità”. Questa è quella che ci viene fatta notare e quindi è quella che la gente conosce. D’altro canto c’è anche da dire che esiste tanta “sana-sanità”. Questa però sembra essere di poco conto per i media, quindi non facendola conoscere come si fa con la malasanità, la gente non conosce il lato positivo e difatti è come se non esistesse. Tante vite vengono salvate ogni giorno, ogni ora e ogni minuto. Penso che se le si raccontassero più spesso, la gente sarebbe più positiva e in questo mondo si vivrebbe meglio.

Comunque tornando al discorso di prima, anche nel privato esistono casi particolari se non vergognosi, come ad esempio una Casa di Riposo per anziani dove ho lavorato, in cui gli infermieri lavoravano da soli su 60 pazienti per turno di giorno e la notte su 121 posti letto. Turni massacranti e assurdi, anche con doppia e tripla notte di seguito e ovviamente sottopagati. “Ma chi me lo faceva fare?” Non mi dilungo. Credo che molti infermieri che mi stiano leggendo ora non possano credere all’esistenza di queste Strutture oppure mi diano della pazza perché le sto letteralmente pubblicando. Ahimè esse esistono e ritengo siano una vera tristezza per il Paese intero (pensare che questa Struttura non si trovava al Sud Italia). Molti altri infermieri, invece, mi daranno ragione perché staranno vivendo una situazione simile, solo che per paura queste cose non le raccontano, o almeno la maggior parte non le racconta. Gli infermieri a volte vogliono andarsene da quelle Strutture, abbandonare quel luogo di lavoro perché rappresenta un incubo per loro ogni volta ricominciare un turno. Però non lo lasciano, perché è dura lasciare un lavoro per la paura di non trovarne più un altro; quindi oggi giorno si accetta di tutto pur di lavorare, anche se ci si corrode la vita e si entra nello stato di “burnout” (dall’inglese “bruciarsi dentro”) sviluppando problemi di salute come pressione arteriosa alta, tachicardie, sbalzi di umore, problemi ormonali, ansia e stress.  Non è un lavoro semplice, soprattutto se non viene valorizzato da chi ci comanda. Questo è molto triste e per questo si ha bisogno di valorizzare di più la professione dell’infermiere. Anche quando si è troppo lontani da casa e con vite molto difficili, quando si ha una famiglia alle spalle o un mutuo per la casa o altri motivi come la fatidica paura di non trovare più lavoro, non si può lasciare il posto di lavoro, finendo di accettare tutto. So che molti direbbero: “ma queste cose sono da denunciare subito! Mi dimetterei subito! ” E quando si trovano di fronte a queste situazioni, non fanno nulla per cambiare qualcosa.

Il mondo del lavoro non è facile, ma non è facile neppure diventare infermiera/e. Io mi sono laureata in tre anni, dopo tantissimi sacrifici e pochissima vita sociale. Ho nominato la mia Laurea “il giorno della liberazione”. L’ attendevo da tanto e alla fine sono contenta di essere riuscita nel mio obiettivo. L’Università di Infermieristica richiede tanto impegno e dedizione continua, a tal punto che a volte vorresti mollare tutto e cambiare strada. Tanti infermieri mi avevano offerto più volte, durante il tirocinio, di cambiare strada dicendomi: “scappa finché sei in tempo!”. A quel tempo non capivo. Perché dire questo ad una ragazza piena di voglia di fare, piena di progetti, vitalità? Perché scoraggiarla e dirle di abbandonare questa strada? Quando mi dicevano così ci ridevo su, anche se mi rimaneva un certo vuoto nel cuore: non volevo diventare come loro.

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Ho sempre cercato di superare le tristezze e le umiliazioni che certe persone mi hanno recato durante il tirocinio (o durante le esperienze lavorative) per non so quale motivo, nella forza che mi davano le persone che assistevo. Io andavo avanti per loro. Le persone che assistevo erano quelle che mi valorizzavano veramente e mi davano più soddisfazioni di tutti. Ho pianto tante volte, pianto di non potercela fare, di non essere all’altezza delle mie aspettative e di quelle degli altri. È stata davvero dura durante il corso universitario. Ho avuto alti e bassi e ogni problema dovevo cavarmela da sola perché nessuno sapeva ascoltare le mie paure, le mie tristezze, i miei bisogni. Non parlavo tanto, mi piaceva ascoltare gli altri ma pochi sapevano ascoltare me e capire chi infondo ero e facevo per gli altri. Anche io ero una persona, come lo erano i pazienti per me. Anche io avevo i miei problemi e i miei limiti. Ma a lavoro dovevo dimenticarli perché dovevo essere presente per gli altri senza pensare ai miei problemi. Non potevo farmi vedere giù di morale e anzi dovevo lavorare come un infermiere di ruolo, nonostante io fossi solo una tirocinante e loro richiedessero la professionalità assoluta; nonostante dovevo lavorare come un operatore in più (che mancava) e noi tirocinanti non eravamo neppure pagati o rimborsati di qualche spesa. Sono stati anni pieni di sacrifici. Anche i professori all’università chiedevano tantissimo a noi studenti. Si perdeva un sacco di energie tra studio, esami e tirocinio negli stessi periodi. Quasi volevano che tu sapessi le cose quanto un medico, anche se medico non saresti mai diventato  e avevi poco tempo per affrontare tutti quei temi scientifici così ampi e complessi. Quindi dovevi solo sbrigarti a finire tutto in pochissimi anni. Credo però che ne sia valsa la pena. Quello che mi mandava avanti erano le persone e con loro sono cresciuta. Io volevo esserci per il prossimo, essere utile per qualcuno e penso di esserci riuscita, almeno per qualcuno ne sono sicura. C’era gente che mi ringraziava in un modo inaspettato, anche per la più piccola cosa che le avessi potuto fare.  Ho incontrato persone che mi abbracciavano fortissimo, con sincerità e tanta stima verso di me. A me non sembrava di aver fatto chissà cosa, da meritarmi una reazione del genere. Potevo aver fatto un piccolo gesto come un sorriso, uno sguardo, un tocco, sarò stata vicino per qualche minuto, avrò ascoltato ciò che dicevano, le avrò abbracciate, o semplicemente salutate. Eppure mi dicevano che con me stavano bene. Questa cosa mi aveva fatto molto riflettere. Per loro era importante anche un semplice saluto. Ho trovato per la mia strada, non solo universitaria, anche persone che mi umiliavano dicendo: “devi cambiare lavoro, questo non fa per te” facendomi sentire inadeguata. Io sono sicura che è un lavoro che faccio col cuore e che mi fa stare bene. Io stessa prima di diventare infermiera ho avuto esperienze di ospedale e forse è grazie all’aiuto ricevuto, che ho compreso tante cose su cosa avrei voluto fare da grande e sul come aiutare e capire chi ho di fronte.  Alla persona che soffre e si fa tante domande sulla propria vita, spesso dico: “non sei solo in questo mondo e non chiuderti a riccio tra i tuoi problemi perché in realtà diventano veri problemi se inizi ad isolarti. Chiedi aiuto se hai bisogno e apriti con le persone. La prima medicina è l’amore, è parlare, è stare con gli altri. Le medicine aiutano ma solo fino a un certo punto”.

Tante persone si domandano dove sia Dio. Tante di queste non credono nella sua esistenza proprio perché non sanno dove vederlo e trovarlo di fronte a certe situazioni della vita. Si chiedono quale sia il senso di tutto questo. Io credo nell’esistenza di Dio e credo che lui sia il senso della nostra vita. Se non riusciamo a vederlo non significa che non esiste. A mio parere lui c’è e non aspetta altro che noi apriamo il cuore a lui, per poter offrirci le risposte che aspettiamo e liberarci dalle nostre preoccupazioni. Forse, a volte, lui lascia che facciamo certe esperienze (anche negative) per imparare qualcosa da esse. Forse è con le esperienze negative che troviamo la forza dentro di noi, quella forza che ci fa reagire e trovare le motivazioni per continuare a vivere. Queste esperienze credo che siano fatte apposta per imparare a conoscere meglio Dio. Sono sicura che lui non ci abbandoni mai, perché vuole tutto il bene per noi e vuole che siamo felici. Dico questo perché credo di averlo visto agire spesso attraverso le persone che ho incontrato e penso sia una cosa importante per la nostra vita. L’ho visto agire per le persone, ma anche per me per farmi crescere. Penso che lui agisca ogni giorno davanti ai nostri occhi ma per poterlo riconoscere e sentire dobbiamo solo fidarci di lui.

Con questo articolo ho voluto raccontare la mia personale esperienza e spero sia stata utile per qualcuno. Io credo molto in questa professione, che necessita di essere valorizzata e conosciuta maggiormente. Credo sia infatti uno dei lavori più faticosi ma anche uno dei più belli e gratificanti che esistano al mondo.

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“PATTO INFERMIERE – CITTADINO” del 12 maggio 1996.

Io Infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:

Presentarmi al nostro primo incontro, a spiegarti chi sono e cosa posso fare per te.

Sapere chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e cognome. Farmi riconoscere attraverso la divisa e il cartellino di riconoscimento.

Darti risposte chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli organi competenti Fornirti informazioni utili a rendere più agevole, il tuo contatto con l’insieme dei servizi sanitari.

Garantirti le migliori condizioni igieniche e ambientali .

Favorirti nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari Rispettare il tuo tempo e le tue abitudini .

Aiutarti ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado di farlo da solo.

Individuare i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con te, proporti le possibili soluzioni, operare insieme per risolvere i problemi.

Insegnarti quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il tuo stato di salute nel rispetto delle tue scelte e stile di vita.

Garantirti competenze, abilità e umanità nello svolgimento delle prestazioni assistenziali.

Rispettare la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti la riservatezza.

Ascoltarti con attenzione e disponibilità quando hai bisogno.

Starti vicino quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano.

Promuovere e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali infermieristiche all’interno dell’organizzazione.

Segnalare agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e disagi.

 

Giorgia L.

 

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8 Commenti

  1. Grazie Giorgia, la tua esperienza mi ha fatto capire meglio questo lavoro, c’è molto lavoro, impegno e sudore, ti forma come essere umano mostrandoti tanti lati duri da affrontare come la morte e la sofferenza. Non è facile stare a contatto ogni giorno con questo e gli infermieri hanno un ruolo essenziale per i pazienti, magari fossero tutti come te! Grazie, il tuo esempio è importante!

  2. Non credevo che questo tipo di lavoro fosse così impegnativo! (D’altronde da fuori tutti i lavori sembrano più facili di come sono in realtà). Però è bello vedere che questo lavoro ti sta dando molta soddisfazione e ti permetta di crescere in tanti aspetti della vita, è proprio vero che non si finisce mai di imparare e la prossima volta che mi troverò davanti ad un infermiere ripenserò alle tue parole e capendo cosa vive ogni giorno e quali sono le sue difficoltà, cercherò di essere più gentile. Spesso non lo siamo finché non entriamo nei panni di chi abbiamo davanti

  3. Bellissimo questo articolo; mi hai fatto comprendere tante cose, grazie ! È una figura molto sottovalutata da quello che ho potuto vedere, dalle persone, quando invece chi ricopre questo incarico ha davvero tantissime cose da fare e non è sicuramente un lavoro per chiunque! Grazie per la tua condivisione, mi è piaciuto molto 🙂

  4. bellissimo articolo! spesso nell’immaginario collettivo il ruolo dell’infermiere è assolutamente sottovalutato… c’è il medico, che è quello “veramente importante”, e i suoi vari aiutanti… invece essere infermiere è tutt’altro che semplice!

  5. Grazie per la tua condivisione Giorgia, trovo che sia importante far conoscere certe situazioni perchè se nessuno ne parla, nessuno se ne interesserà e quindi nessuno si impegnerà per cambiarle. Una volta ho conosciuto una persona che stava facendo i servizi sociali e mi raccontava che anche lui si era trovato in una struttura in cui aveva tantissimi pazienti da accudire e c’era davvero poco personale.
    Trovo che il ruolo da infermiere sia importantissimo e fondamentale, dovrebbe essere incentivato! Invece di scoraggiare i futuri infermieri come hanno fatto con te, bisognerebbe aiutarli a poter dare il loro prezioso contributo.

  6. Che scritto meraviglioso! Un grazie infinito a te, Giorgia, che hai condiviso con noi le tue esperienze e realtà che purtroppo a noi “pazienti” ci vengono tenute all’oscuro anche se ci rendiamo conto che nella sanità c’è qualcosa che non va! Ti mando un grande in bocca al lupo per il tuo futuro e spero che la situazione ospedaliera un giorno possa cambiare al più presto e che a voi infermieri vi sia riconosciuto il vostro lavoro e valore!

  7. Ho grande stima verso chi compie il tuo lavoro e anche un po’ di invidia (in senso buono): io non posso nemmeno sentire parlare di punture, aghi, che mi viene da svenire! Stranamente ho la fobia di queste cose più “sottili” della Medicina. Per esempio guardo un video di un’operazione chirurgica senza problemi anzi con estremo interesse. Ma se mi fai vedere un semplice esame del sangue…non ce la faccio…sto male! Sono sempre stato così…non ho ancora capito perchè. A parte quello, penso che la figura del medico – col quale lavorate a stretto contatto – sia col passare degli anni, peggiorata, venendo meno al Giuramento di Ippocrate. Parlo in generale ovviamente. Vedo infatti che non si basano più sul prevenire bensì sul prescrivere farmaci “tappa sintomi” senza preoccuparsi delle cause alla fonte dei problemi di salute. Ma come hai scritto anche tu oggi si parla di aziende ospedaliere con pazienti – clienti. Non penso ci sia bisogno di aggiungere altro… Per fortuna esistono persone come te che hanno a cuore il benessere degli altri e svolgono con passione la propria “missione”. Grazie per questo bellissimo articolo e per avermi fatto scoprire cose che non sapevo!

  8. Complimenti Giorgia, fai un lavoro importante e molto faticoso, da te traspare il cuore e l’impegno grazie

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