La distanza

Pagina 1 di 2

…è la distanza: non c’è da girarci troppo intorno. Ho sempre sentito di essere distante da chiunque, che fosse un famigliare o un compagno di scuola, fino agli amici più “vicini”, io ero sempre da un’altra parte sia con la testa che con le emozioni e no, non era semplice deficit di concentrazione, la distrazione o la testa tra le nuvole, non era solo la timidezza, non era nemmeno una forma di solitudine perché c’era spesso gente intorno a me. La distanza è la condizione che mi ha contraddistinto, definito, eppure ne sono stato per un sacco di tempo inconsapevole. Per un primo periodo, da bambino, vestivo questa distanza con una veste di “aristocrazia” fingendo di sentirmi il migliore ma, allo stesso tempo, temevo il confronto che mi avrebbe di certo smascherato. Quindi per compensare la distanza, negli anni ho cominciato a comportarmi come un qualsiasi adolescente prima, e giovane adulto poi: mi adeguavo ad una forma sociale, bevevo alcool e fumavo, cercavo di rendermi come gli altri, falsamente socievole e quello che mi perdevo erano nuovi tratti di consapevolezza rendendo vera quella strana figura retorica che dice “bevo per dimenticare”, ma io non sapevo nemmeno cosa stavo dimenticando, l’ho scoperto solo molto tempo dopo. Ho passato serate, e nemmeno poche, a tornare a casa per puro miracolo, guidando un’auto che conosceva la strada meglio di me, procedevo fidandomi che oltre la miopia, i colpi di sonno, i fumi dell’alcool e la nebbia ci fosse il mio letto, un letto dove arrivavo sfatto, fradicio, malandato e dal qual mi alzavo inebetito e pentito, giurando che non lo avrei fatto più ma mi trovavo in meno di una settimana nelle medesime condizioni.

Alle feste ero uno di quelli che prendeva un altro bicchiere e poi andava via e quell’altro bicchiere era sempre uno di troppo e andavo via quasi per ultimo. Più gente c’era più rincorrevo il massimo grado alcolico nel minor tempo possibile. Ok: descritto così sembra proprio una schifezza, e forse lo era. Nel tempo mi sono calmato, sarà stato che diventavo “più grande” e ci mettevo più tempo a riprendermi, sarà che ero stufo di provare a cercare la via della socievolezza tramite l’immagine di quello che regge, ma che poi non regge, avevo anche imparato a darmi un contegno ma sempre 3 birre medie a sera mi bevevo. Nell’età della “consapevolezza” le sbronze da festa erano diventate serate di “degustazione” dove dopo un numero imprecisato di bicchieri di costose bottiglie mi trovavo a casa come un ventenne qualsiasi cioè ubriaco e stufo.

La cosa che mi ha stupito una volta cominciati a leggere gli articoli di ACD dove si parla dei danni dell’alcool,  è che ci ho messo un minuto a smettere: una sera avevo un bicchiere di vino in mano e la mia compagna ha detto “vedi che ti innervosisci quando bevi?”, ero nervoso ma non avevo ancora assaggiato quel bicchiere, l’ho svuotato nel lavandino e non ho più toccato vino, con la birra ho smesso il giorno dopo, ho ancora del whisky ma faccio caso alle bottiglie solo per rendermi conto che mi occupano spazio. Con il tabacco ci ho messo stranamente di più, stranamente perché fumavo davvero poco eppure mi “dispiaceva” smettere: ho comunque mollato anche quello dandomi un giorno come ultimatum e sapendo che stavo fumando l’ultima tabaccata. Le “droghe leggere” alla fine erano un vizio non vizio, sempre legato alla frequentazione di certe persone, sparite quelle persone ho semplicemente smesso di avere interesse nella cosa e, pure se per un breve periodo ho continuato da solo con la scusa della “ricerca di sensazioni”, le sensazioni che più spesso mi trovavo a vivere erano di malessere gastrointestinale. Alcool, tabacco e il resto erano da me definiti “collanti sociali” ma alla fine erano soprattutto distrazioni nei miei stessi confronti.

Pagina 2 di 2

Parlavo all’inizio di queste righe della distanza. L’ho definita così poco tempo fa, dopo aver fatto una delle mie pratiche preferite, che eseguo davvero raramente perché è estremamente intensa per me, mi lascia sempre scosso per un po’: la connessione con Dio imparata in Accademia di Coscienza Dimensionale. Non voglio descrivere come la pratica si svolga, e quale sia il suo obiettivo (in fondo il titolo è particolarmente eloquente), ma il senso di calore e fiducia che mi dà questa pratica non l’ho trovata da nessuna altra parte: nessun famigliare, nessun amico, nessuna sostanza, mi hanno mai fatto sentire compreso senza che dovessi dire nulla, come la pratica, e sempre la pratica mi ha messo d’avanti alla condizione di rendermi conto che tutti i miei tentativi del passato di essere compreso, di sentirmi parte, erano causati da un senso di lontananza che con Dio non provo. Devo ancora capire perché questo sentimento sia incastrato da qualche parte dentro la mia Coscienza, ancora devo approfondirne le cause, sinceramente non ne ho la minima idea, ancora ne soffro ma almeno non ricorro a “collanti sociali” per zittire la sensazione che non è più completamente negativa, non è più un disagio ostile, è un qualcosa da capire, da risolvere nel tempo. Adesso è una domanda che cerca una risposta, e la risposta, lo so, è da qualche parte in me e la potrò trovare con gli strumenti disponibili nell’Accademia di Coscienza Dimensionale.

 

Snoop

Questo documento è di proprietà di https://significato.online/. Tutti i diritti sono riservati, è vietata qualsiasi utilizzazione non autorizzata, totale o parziale, dei contenuti inseriti nel presente portale, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta da parte di Significato.Online. Ogni violazione verrà perseguita per vie legali. ©
0

Aggiungi un Commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Commento *

Nome
Email
Sito Web

Vuoi aggiungere il tuo banner personalizzato? Scrivici a [email protected]